Locarno, un’arte al cubo
Collezione privata – I coniugi Pierino e Martine Ghisla hanno scelto Locarno come sede espositiva della loro preziosissima collezione d’arte (da Picasso a Wesselmann).
Il reportage
Sembra un grosso dado rosso, rotolato tra le case a Locarno, in via Ciseri 3, proprio dietro il Kursaal. Un’unica scritta a caratteri cubitali che campeggia in basso: Ghisla Art Collection. Il resto, un edificio a forma di cubo, minimale, elegante e senza finestre. «Questo è un posto dove non si entra per guardare il panorama» ci spiegano ancora sull’uscio i proprietari Pierino e Martine Ghisla, «ma per concentrare lo sguardo su quello che c’è dentro». E il dentro è una strisciata di visioni artistiche. Grazie a una collezione di opere che raggruppa i nomi-simbolo di importanti svolte estetiche nella storia dell’arte.
Ci sono capisaldi come Picasso, Mirò e Magritte. Poi si va da Christo e Jeanne Claude al poverista Jannis Kounellis, passando per la pop-art di Tom Wesselmann fino al graffittista-star Jean-Michel Basquiat. «Nella scelta dei lavori ci siamo sempre fatti guidare dalla nostra sensibilità» racconta Pierino Ghisla «senza farci influenzare dalle mode o dalle bussole dei critici. In totale la nostra collezione ha 180 opere. Per ora, in questi spazi, ne esponiamo una sessantina in vista dell’inaugurazione che avverrà il 29 giugno». Già, perché quel giorno, con l’apertura ufficiale della galleria, arriva a coronamento una lunga storia che ha anche contorni da favola. Quella dei coniugi Ghisla. Lui, della Val di Blenio, lei, nata vicino a Bruxelles, ma che fin da piccola veniva in vacanza in Ticino. A 9 anni si conoscono, più avanti si sposano e ora hanno alle spalle 41 anni di matrimonio e 30 di collezionismo d’arte, portato avanti all’unisono. Tre mesi fa, decidono di lasciare il Belgio, per tornare in Ticino. Mettono casa a Minusio e, per far nascere la loro fondazione, abbracciano la sfida di ristrutturare un edificio locarnese. Un progetto architettonico pensato da Moro & Moro e gestito dall’amico immobiliarista Roberto Mazzoleni che ci svela: «Prima qui c’era un edificio anni Quaranta con un alveare di finestre; l’idea però non era quella di buttare giù la vecchia costruzione, ma di rivestirla con una serie di lamiere rosse stirate». Ora, l’effetto visivo è quello di una sorta di maglia traforata, a ondine, che avvolge tutta la casa, quasi fosse un intreccio di filo grosso. Il tutto moltiplicato, all’entrata, dalla scultura specchiata del basilese Loris Hersberger, un totem lucente, che cambia colore a seconda di come si riflette la luce, giusto a un passo dal corso d’acqua che recinta l’intero cubo rosso.
«Generalmente il collezionismo si tramanda di generazione in generazione. Nel nostro caso no. Siamo partiti da zero. Attorno al 1980. Abbiamo visto un’opera d’arte di Georges Mathieu che piaceva a entrambi ma allora inaccessibile a livello di prezzo», raccontano i Ghisla. Una rinuncia fatta a malincuore che tuttavia fa scattare la molla e aumenta l’appetito. Non a caso, passa qualche tempo e la prima opera acquistata della collezione è proprio un lavoro dello stesso artista. Che segna l’avvio di una vera e propria avventura. «Una volta che si è partiti, la vita del collezionista diventa tutto un viaggiare guidato dalla passione. Appena si può, ci si sposta, diventando frequentatori assidui delle principali manifestazioni artistiche. Da Art Basel alla Fiac di Parigi, da Miart a Milano alla Biennale di Venezia».
Un atlante di spostamenti per arrivare a tutte quelle acquisizioni che ora i Ghisla rivendicano con fierezza, proprio perché non sono mai state condotte attraverso il misurino delle convenienze economiche. «In tutti questi anni non abbiamo mai ragionato in termini finanziari, altrimenti alcune delle nostre opere non sarebbero più con noi. Non abbiamo mai venduto un solo pezzo dei lavori su cui abbiamo investito. Per noi, sono come dei figli con cui siamo cresciuti insieme. Tant’è vero che anche adesso, per l’allestimento dei lavori nelle varie sale, ci siamo appoggiati al nostro gusto, senza alcuna interferenza». Un patrimonio a conduzione familiare che era un peccato lasciarlo destinato solo a pochi occhi. E così, ecco l’idea di un luogo privato, creato senza alcun sostegno pubblico, ma pronto ad aprirsi a chiunque ne avesse desiderio. «Ormai la collezione era diventata così grande» conclude la coppia Ghisla «che ci sembrava da egoisti tenercela per noi. È arrivato il momento della condivisione, cosa che ci rende tanto emozionati quanto orgogliosi. Non ci siamo nemmeno posti la domanda se Locarno sia il luogo giusto o meno. Per come la vediamo noi, un luogo diventa giusto in virtù del suo contenuto. E ora speriamo solo che venga apprezzato».